L’importanza della responsabilità medica e della mediazione obbligatoria

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L’importanza della responsabilità medica e della mediazione obbligatoria
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L’importanza della responsabilità medica e della mediazione obbligatoria

Quando un paziente ritiene di aver subito un danno per responsabilità medica, l’istinto immediato è spesso uno solo: “faccio causa all’ospedale”. Eppure, nel sistema italiano, il processo civile non è la prima tappa obbligata. In materia di responsabilità sanitaria, la legge impone prima di tutto un passaggio “obbligato” davanti a un organismo di mediazione, che si rivela nella pratica la strada più rapida e spesso più efficace per ottenere un risarcimento, senza affrontare anni di contenzioso.

Il quadro normativo è delineato dal d.lgs. 28/2010, che all’articolo 5 individua una serie di materie per le quali il tentativo di conciliazione davanti a un organismo di mediazione è condizione di procedibilità della causa. Tra queste vi è espressamente la responsabilità medica e sanitaria. Questo significa che, prima di depositare un atto di citazione per chiedere il risarcimento dei danni da malpractice, il paziente (o i suoi eredi) deve aver avviato una procedura di mediazione. Non è necessario che la conciliazione riesca, ma è indispensabile dimostrare quantomeno di aver partecipato al primo incontro. In mancanza, il giudizio civile è improcedibile: il giudice inviterà le parti a rivolgersi a un organismo di mediazione e, se l’invito non viene rispettato, la domanda si estingue.

Accanto alla mediazione, la legge prevede una seconda via: l’accertamento tecnico preventivo ex art. 696-bis c.p.c., ossia una consulenza tecnica preventiva in funzione conciliativa. Mediazione e ATP si pongono dunque come alternative: basta aver imboccato almeno una di queste due strade perché la causa civile possa poi procedere.

Sul tema della responsabilità medica, la Riforma Cartabia – legge n. 149/2022 – non ha operato una rivoluzione, ma ha inciso comunque sull’istituto della mediazione civile nel suo complesso. Da un lato, ha ampliato l’elenco delle materie soggette a mediazione obbligatoria; dall’altro, ha rafforzato il ruolo del primo incontro, che non è più un semplice “adempimento formale”, bensì un’occasione in cui le parti sono chiamate a un confronto effettivo sulle rispettive posizioni, nella prospettiva di chiudere la controversia già in quella sede.

Ma come funziona concretamente una mediazione in caso di responsabilità medica? Tutto nasce da un’istanza depositata presso un organismo di mediazione territorialmente competente, cioè avente sede nel circondario del tribunale che sarebbe competente a conoscere della causa civile. L’organismo designa un mediatore, figura centrale della procedura. Non è un giudice e non decide chi ha torto o ragione; il suo compito è quello di creare uno spazio di dialogo, aiutare le parti a comunicare, individuare gli interessi in gioco e guidarle verso una possibile composizione.

La sua preparazione non è solo giuridica: il mediatore è formato sull’ascolto, sulla comunicazione e sulla gestione del conflitto. In un contesto delicato come quello della responsabilità sanitaria, in cui accanto al danno economico esiste spesso una sofferenza umana profonda, la capacità di mantenere un clima collaborativo è decisiva. Al primo incontro, paziente (o familiari) e struttura sanitaria, assistiti dai rispettivi avvocati, sono chiamati a esporre le proprie ragioni e ad aprirsi a un confronto reale. Se l’accordo non si raggiunge subito, il mediatore può fissare ulteriori incontri. Dal punto di vista strettamente processuale, però, dopo il primo incontro la condizione di procedibilità si considera soddisfatta: le parti potrebbero anche interrompere lì la procedura e rivolgersi al giudice. Anche quando la mediazione si conclude senza un accordo, il mediatore mantiene un ruolo attivo: può formulare una proposta di conciliazione, che le parti sono libere di accettare o rifiutare entro sette giorni. Questo meccanismo incentiva comunque la ricerca di una soluzione anche a valle di un apparente insuccesso del confronto diretto.

Perché, allora, scegliere la mediazione rispetto al processo ordinario? Il primo elemento è il tempo. Una procedura di mediazione, soprattutto se le parti collaborano e accettano un dialogo leale, si chiude in poche settimane o pochi mesi, a fronte di processi civili che in materia di responsabilità medica possono durare anni. Il secondo aspetto è economico: le indennità dovute all’organismo di mediazione e i costi collegati agli incontri sono, nella maggior parte dei casi, sensibilmente inferiori alle spese di un lungo contenzioso, pur restando naturalmente dovuti i compensi dei legali, la cui presenza è necessaria nelle mediazioni obbligatorie.

Vi è poi il tema, non secondario, della conflittualità. Il tribunale è per sua natura un luogo di contrapposizione, regolato da termini, eccezioni, preclusioni, con un vincitore e un perdente. La mediazione, al contrario, privilegia un clima cooperativo: il paziente e la struttura sanitaria sono chiamati a cercare insieme una soluzione, piuttosto che “combattere” per aver ragione. Questo è particolarmente importante in ambito sanitario, dove le relazioni di fiducia tra cittadino e sistema di cura non dovrebbero essere distrutte da una battaglia giudiziaria.

Anche la dimensione procedurale gioca a favore della mediazione: il procedimento è informale, privo dei rigidi formalismi del codice di procedura civile. Le parti possono produrre documenti, illustrare le proprie ragioni, avanzare proposte conciliative senza il timore di incorrere in decadenze o preclusioni tipiche del processo. Infine, c’è la riservatezza: ciò che avviene nella stanza di mediazione resta confinato in quel perimetro, e anche l’eventuale verbale di accordo garantisce, rispetto alla pubblicità delle udienze di un processo, una tutela maggiore della sfera privata delle parti.

Resta allora da chiedersi: meglio mediazione o accertamento tecnico preventivo? L’ATP ex art. 696-bis c.p.c. ha il vantaggio di mettere subito al centro un consulente tecnico, chiamato a valutare profili cruciali quali il nesso causale tra condotta e danno oppure la quantificazione del pregiudizio. È uno strumento prezioso quando il nodo principale è di natura medico-legale e le parti avvertono l’esigenza di un parere tecnico terzo che possa orientare le trattative. Tuttavia, proprio perché molto incentrato sull’aspetto tecnico, l’ATP non sempre favorisce, di per sé, un dialogo strutturato tra paziente e struttura. La mediazione, invece, nasce come luogo di confronto: può portare a un accordo soddisfacente anche senza entrare, almeno inizialmente, nel dettaglio di ogni singolo profilo medico, concentrandosi sugli interessi complessivi in gioco e sull’esigenza di chiudere la vicenda con un’intesa il più possibile condivisa.

Accanto alla mediazione e all’ATP, l’ordinamento conosce un altro strumento di risoluzione alternativa delle controversie: la negoziazione assistita. In questo caso la trattativa avviene direttamente tra le parti, per il tramite dei rispettivi avvocati, senza l’intervento di un terzo neutrale. In materia di responsabilità sanitaria, però, la negoziazione assistita non è prevista come obbligatoria. Le parti sono libere di utilizzarla, ma, qualora non dovesse andare a buon fine, restano comunque tenute ad avviare una mediazione obbligatoria o un ATP prima di poter portare la questione in tribunale. Il legislatore, in questo senso, mostra chiaramente di privilegiare la mediazione, proprio per la presenza di una figura terza e imparziale, il mediatore, che può smussare gli angoli e rilanciare il dialogo quando gli avvocati, da soli, rischiano di rimanere impigliati nelle posizioni contrapposte dei loro assistiti.

In questo contesto, la scelta dell’organismo di mediazione assume un rilievo strategico. Strutture specializzate offrono non solo il “luogo” in cui svolgere gli incontri, ma anche un supporto giuridico qualificato lungo tutte le fasi della procedura: dalla valutazione preliminare del caso, alla gestione dei rapporti con la controparte, fino alla redazione di un eventuale accordo che abbia piena efficacia tra le parti. Affidarsi a professionisti esperti in mediazione civile e in responsabilità sanitaria significa aumentare le probabilità di trasformare un conflitto doloroso in un’intesa concreta, chiudendo il cerchio in tempi brevi e con costi sostenibili rispetto al percorso, spesso estenuante, del processo.

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