Si è svolta lo scorso 7 luglio, in streaming tramite la piattaforma Zoom, la 2a Officina della Conciliazione, sul tema “Titoli esecutivi stragiudiziali”. Come di consueto il corso si è svolto in collaborazione con la Formazione Decentrata della Scuola Superiore della Magistratura e tra i relatori anche il dottor Fabio Valenza, notaio in Parma e componente della Commissione Mediazione del CNN.
Dott. Valenza, l’ultimo corso di formazione organizzato dall’Osservatorio e dalla SSM ha trattato il tema de “I nuovi titoli esecutivi stragiudiziali”. E’ stato anche il tema del suo intervento. Quali sono, scendendo più nel dettaglio su questo tema, i punti di maggiore interesse che è bene far emergere per gli addetti ai lavori?
«Il tema dei titoli esecutivi è un tema decisivo per la concretizzazione della domanda di giustizia, ed infatti il titolo esecutivo può definirsi la fattispecie da cui nasce un effetto giuridico che è la tutelabilità esecutiva del diritto sostanziale, cioè la condizione necessaria affinché l’Ufficio Esecutivo dello Stato sia obbligato a fornire la tutela esecutiva del diritto sostanziale richiesta dalla parte. Tradizionalmente la nascita del titolo esecutivo è stata ricondotta al compimento di un percorso che prevede il previo esperimento di un procedimento giurisdizionale di accertamento della situazione sostanziale, mentre dovevano considerarsi quali eccezioni, pur se numerose, ma sempre eccezioni, e quindi comunque con significativi limiti alla portata esecutiva, le previsioni che riconoscevano all’autonomia negoziale, nel rispetto di ben precisi e rigorosi requisiti formali, la possibilità di formare un titolo esecutivo stragiudiziale. Nell’ultimo decennio, tuttavia, questo rapporto regola-eccezione è stato significativamente modificato. Intendo con tale affermazione fare riferimento proprio al fenomeno della conciliazione stragiudiziale, cioè di quello che è pur sempre un procedimento, ma di giustizia consensuale, basato sul principio costituzionale di sussidiarietà, che è volto a favorire una soluzione negoziale della controversia, non sulla base dell’accertamento dei diritti delle parti, ma avendo di mira soprattutto la massima contemporanea soddisfazione possibile degli interessi delle stesse. Ebbene, proprio con riguardo al fenomeno della conciliazione stragiudiziale, si assiste all’emersione di titoli esecutivi stragiudiziali ottenibili attraverso l’accordo negoziale raggiunto nelle sedi conciliative indicate dal legislatore, con un risultato in termini di portata esecutiva, che è perfettamente equivalente alla tutela data da una sentenza (cioè piena efficacia esecutiva), ciò che, anche dal punto di vista esecutivo, giustifica e richiede una teorizzazione ed una concettualizzazione di giustizia dialogica o consensuale avente piena dignità e rilevanza costituzionale, e non in rapporto di subalternità o di alternatività, e nemmeno di mera alterità, quanto piuttosto in rapporto di complementarietà rispetto alla giustizia dialettica o correttiva, volta all’accertamento dei diritti, cui tende la giurisdizione.
Durante il corso di formazione si è dialogato con altri relatori non notai, ma giudici e avvocati. Questi – e altri – ambiti diversi come possono dialogare e quali i punti di contatto per un lavoro proficuo in termini di mediazione e ADR?
«Il tema è quello della giustizia, o meglio della riscoperta del senso classico di giustizia quale virtù ad alterum, vale a dire quale capacità del singolo di rispettare, sia le norme giuridiche espressione dei valori che la comunità politica giudica oggettivamente buoni, sia il principio di eguaglianza nei rapporti con l’altro. Tale profonda concezione aristotelica di giustizia quale virtù interattiva si ritrova nella definizione affermata e resa celebre da Cicerone e ripresa nella formulazione di Ulpiano registrata nel Digesto, secondo la quale la giustizia consiste nel riconoscere a ciascuno il suo: jus suum cuique tribuere. Ebbene, questo concetto generale di giustizia può raggiungersi, in concreto, attraverso due possibili vie o modalità, quella della giustizia dialogica o consensuale cui tendono la mediazione e la negoziazione assistita, e quella della giustizia dialettica o correttiva cui tende la giurisdizione. Quale di queste due vie o modalità è da ritenersi preferibile? Dal punto di vista generale e teorico non vi è una risposta valida per tutti i casi; spetta proprio agli operatori del diritto, ed al proficuo dialogo tra gli stessi, avvocati e giudici, individuare e suggerire alle parti, o disporre iussu iudicis, la modalità più idonea al raggiungimento, nel caso concreto, dell’obiettivo di giustizia, tenendo presente che gli uomini possono talvolta smarrire il senso di giustizia a prescindere dalla violazione, in concreto, di una data norma giuridica: da ciò possono nascere dei conflitti, difficilmente risolvibili sul piano del puro diritto, vale a dire sul piano di una mera applicazione delle norme giuridiche di volta in volta rilevanti. E così, un dialogo, auspicabilmente sempre più consapevole, tra gli operatori del diritto sarà in grado di evitare di ricadere sempre e comunque nella tradizionale identificazione della giustizia con il processo, nella comune consapevolezza che le parti del conflitto – e ciascuna di esse – hanno in sé le potenzialità – anche se spesso da riattivare – per risolverlo, così come, invece, possono esserci casi in cui i caratteri oggettivi e soggettivi del conflitto rendano preferibile, almeno all’inizio, la via giurisdizionale (sempre che non si tratti di casi ricadenti nell’ambito della mediazione obbligatoria ex lege). E, del resto, la necessità di un dialogo leale e collaborativo – piuttosto che una sterile contrapposizione – tra tutti i protagonisti del conflitto (parti, avvocati e consulenti delle stesse, professionisti terzi) è stata tenuta ben presente e richiesta espressamente dal legislatore della riforma Cartabia, e si impone quale imprescindibile fattore di co-esistenza sociale».
Lei è componente della Commissione mediazione del Consiglio Nazionale del Notariato, per la sua esperienza da notaio come può il settore della Mediazione ancora crescere e svilupparsi e quali gli elementi da approfondire, incentivare e migliorare per un’evoluzione costante ma allo stesso tempo proficua ed efficace?
«L’elemento centrale da approfondire e il risultato da migliorare dal punto di vista qualitativo sono quelli della efficacia ed effettività del procedimento di mediazione, che, da un lato, non deve essere costretto entro rigidi limiti temporali, al fine di permettere che l’interazione ed il dialogo possano esplicarsi in modo effettivo ed efficace fino al raggiungimento del loro scopo, secondo quanto, del resto, affermato dalla dottrina dei fenomeni interattivi e sociali che individua la durata ottimale di ogni fenomeno interattivo in quella, di volta in volta, più adeguata al raggiungimento del suo scopo, e, nel caso di specie, al raggiungimento di obiettivi condivisi di giustizia consensuale, ma, dall’altro lato, non deve presentare un elevato rischio di costituire una inutile perdita di tempo, evitando, cioè, che l’interazione si prolunghi inutilmente con inefficace ed inefficiente dispendio di risorse e di tempo nei casi in cui risulti – o sarebbe stato possibile fare emergere – l’impossibilità del raggiungimento dello scopo. Da questo punto di vista, si deve riscontrare la coerenza e la congruenza della disciplina della durata del procedimento di mediazione cui l’ordinamento giuridico italiano è pervenuto all’esito di una evoluzione di tre lustri, anche con riguardo alle ipotesi di mediazioni che si inseriscono all’interno di un processo giurisdizionale, disciplina della durata che, ad un tempo, favorisce e richiede, come doveroso, il recupero della dimensione più autentica e personale dell’esser-ci in termini di impegno e di cooperazione leale e in buona fede (intesi quali obblighi di durata) e di apertura verso il possibile superamento del conflitto, ma anche stimola e deve stimolare, nei professionisti della mediazione, e, particolarmente, nel Notariato, da sempre impegnato nel campo della giustizia consensuale, sia dal punto di vista scientifico, sia dal punto di vista operativo (e, in quest’ultimo ambito, sia come mediatore, sia in sede di intervento a valle del procedimento di mediazione per la garanzia di certezza del diritto degli accordi di conciliazione soggetti a pubblicità), l’approntamento di adeguate tecniche, quali la puntuazione e – come avvenuto nell’ultimo studio da me elaborato in seno alla Commissione Mediazione del Consiglio Nazionale del Notariato (Studio n. 5/2024M, La durata del procedimento di mediazione civile e commerciale nella prospettiva della giustizia consensuale, approvato dalla Commissione Mediazione del CNN il 15 aprile 2025) – l’accordo preliminare endoprocedimentale che non chiude la procedura di mediazione, ma definisce in modo vincolante una fase interinale in cui le parti assumono sì impegni con rilevanza esterna, in deroga al principio di riservatezza, in ordine ad una ipotesi conciliativa, ma non è ancora certo se tale ipotesi conciliativa sia in effetti praticabile, ovvero se le parti, verificata la sua impraticabilità, debbano, se vorranno liberamente proseguire nel procedimento di media-conciliazione, cercare altre strade; tecniche entrambe, e segnatamente quella dell’accordo preliminare endoprocedimentale, volte a coniugare autonomia, libertà, e riservatezza con esigenze di efficienza (ed effettività) e di tutela degli affidamenti».