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L’istituto della mediazione civile nasce con un obiettivo dichiarato: la conciliazione. La sua ragion d’essere è il successo dell’accordo tra le parti, ma questo risultato passa necessariamente da un presupposto imprescindibile: la partecipazione di tutti i soggetti coinvolti davanti al mediatore designato. Senza la disponibilità – o, più realisticamente, senza un sistema che spinga le parti a “sedersi attorno a un tavolo” – la procedura di mediazione è destinata al fallimento.
Fin dall’origine, il legislatore ha calibrato diversi strumenti per farvici partecipare sia la parte istante sia la parte aderente. Nella prima versione del d.lgs. 28/2010, l’obbligatorietà della mediazione era concepita come fase transitoria: nei lavori preparatori era esplicito il disegno di un periodo di monitoraggio di cinque anni, al termine del quale si sarebbe dovuta sviluppare una vera e propria “cultura della mediazione”. L’istituto avrebbe dovuto così evolvere da imposizione calata dall’alto a scelta ponderata, principale strumento di ADR e via privilegiata per evitare le lungaggini del processo civile. Il legislatore ha preso atto che il modello di riferimento di alcuni ordinamenti – anglosassone, statunitense, giapponese – non ha trovato un parallelo in Italia. Da qui, con la cosiddetta Riforma Cartabia, la decisione di innalzare il livello degli obblighi a carico delle parti e di rafforzare in modo significativo il sistema sanzionatorio.
I dati ministeriali relativi al primo trimestre del 2025 confermano che, quando l’aderente accetta di proseguire oltre il primo incontro, la mediazione funziona: in questi casi la percentuale di conciliazione raggiunge il 52,46%. Ministero della Giustizia, operatori del diritto e commentatori convergono su un punto: la vera chiave deflattiva è indurre la parte invitata a partecipare seriamente, perché le statistiche, sui grandi numeri, sono confortanti.
In questo quadro, il legislatore della riforma ha scelto di “equilibrare” le sanzioni, collegandole esclusivamente alla totale mancata partecipazione alla mediazione. È sufficiente una partecipazione effettiva al primo incontro – personale o tramite delegato, purché munito dei necessari poteri sostanziali – per evitare le conseguenze più gravi. Per la parte istante ciò vale ai fini della procedibilità della domanda; per la parte aderente è la condizione per evitare qualunque futura condanna.
La stessa logica si riflette sul piano economico: le spese di mediazione per il primo incontro sono fisse per tutti gli organismi, in base alla tabella unica nazionale allegata al D.M. 150/2023, che nella maggior parte dei casi si traduce nel pagamento di 190,32 euro. Le spese successive al primo incontro, invece, possono essere ridotte. Proprio in virtù di questo assetto, la sanzione principale a carico della parte istante è l’improcedibilità della domanda nel successivo giudizio civile, non solo in caso di mancato esperimento della mediazione, ma anche se la parte – o il suo delegato – non si presenta almeno al primo incontro con poteri specifici utili a conciliare, come ricordato dalla Cassazione con la sentenza n. 14676/2025. Per converso, la condizione di procedibilità si considera soddisfatta quando, al termine del primo incontro, viene espressa la volontà di non proseguire, come chiarito dalla Cassazione con l’ordinanza n. 8050/2025.
Diverso il quadro per la parte invitata, futuro convenuto in giudizio. Qui il legislatore, prima della Riforma Cartabia, aveva predisposto una sanzione molto più tenue. Di fatto, esisteva una marcata sperequazione: gli invitati potevano tranquillamente evitare di aderire alla mediazione, facendo leva sulla vecchia formulazione del d.lgs. 28/2010, che prevedeva il versamento di una somma pari al contributo unificato in favore dell’Erario. Una sanzione considerata blanda e, di fatto, raramente applicata. I rilievi della Corte dei Conti avevano evidenziato come molti giudici disattendessero sistematicamente questo meccanismo, con conseguenti mancati introiti per le casse statali.
Consapevole di questa situazione, la Riforma Cartabia ha riscritto completamente il regime sanzionatorio a carico dell’invitato che non compare, introducendo il nuovo articolo 12-bis del d.lgs. 28/2010. Le sanzioni riguardano esclusivamente la parte che diserta totalmente la mediazione – quando si tratta di condizione di procedibilità, quindi nelle materie obbligatorie, nelle mediazioni delegate dal giudice e nei casi in cui sia presente una clausola di mediazione nei contratti – e che, al contempo, si costituisca poi in giudizio. Se invece la parte resta contumace, le sanzioni non trovano applicazione. L’obiettivo è colpire chi si dimostra disinteressato alla mediazione ma interessato al processo, sempre salvo il caso di assenza giustificata.
Già prima e dopo la riforma, il legislatore aveva previsto una particolare sanzione di tipo probatorio, oggi collocata nel primo comma dell’articolo 12-bis, modellata sulla norma dell’articolo 116, secondo comma, c.p.c. Si tratta della possibilità per il giudice di trarre argomenti di prova dalla condotta della parte. Tuttavia, questa previsione si presenta come una sorta di “scatola vuota”, in linea con la sostanziale disapplicazione dello stesso articolo 116, secondo comma. La giurisprudenza, infatti, raramente ha fatto ricorso a questa valutazione “virtuale” della condotta, e la dottrina ha coniato l’espressione “valutazione di condotta qualificata” per descrivere situazioni analoghe – come la mancata comparizione delle parti o l’ignoranza dei fatti di causa da parte del difensore ex artt. 183 o 420 c.p.c. – che comunque non possono essere utilizzate in caso di contumacia, cioè di mancata costituzione.
Sul piano economico, il legislatore della riforma ha raddoppiato la sanzione già prevista, portandola a un importo pari al doppio del contributo unificato del giudizio in corso. Eppure, anche in questo ambito, l’esperienza degli ultimi quindici anni mostra diversi casi in cui la richiesta di condanna al contributo unificato è stata rigettata per difetto di legittimazione attiva della parte istante. Da un lato, infatti, quest’ultima non ricava alcun beneficio diretto da tale condanna, poiché il destinatario è l’Erario; dall’altro, il giudice può negare la sanzione, pur potendola teoricamente applicare d’ufficio, richiamando il difetto di interesse ex art. 100 c.p.c., proprio perché il vantaggio economico non è in capo alla parte ma allo Stato.
Per superare questo “corto circuito”, è stato introdotto il terzo comma dell’articolo 12-bis. La concessione della nuova sanzione è subordinata alla richiesta della parte, ai sensi dell’articolo 99 c.p.c., e viene così ricondotta nell’alveo della disponibilità delle parti stesse. Inoltre, rispetto alla condanna al contributo unificato in favore dell’Erario – svincolata dall’esito del giudizio – viene aggiunto un ulteriore requisito: la soccombenza della parte che non abbia partecipato al primo incontro di mediazione. Questo nuovo istituto sanzionatorio sta muovendo i primi passi e già si registrano le prime sentenze di accoglimento, che per i condannati risultano particolarmente gravose sul piano economico. È evidente, però, che il suo concreto radicarsi dipenderà anche dall’iniziativa degli avvocati, chiamati a formulare espressamente la relativa domanda come accessoria rispetto a quella principale e nel rispetto delle medesime forme.
Fra i primi casi in ordine cronologico si segnala la sentenza n. 4942 del 15 ottobre 2024 del Tribunale di Palermo, che ha applicato questa sanzione a carico della parte che non aveva partecipato al primo incontro di mediazione. La condanna aggiuntiva – determinabile dal giudice sino al massimo delle spese legali – è in favore della parte istante in mediazione che sia risultata poi vittoriosa nel giudizio civile. Al ricorrere di entrambe le condizioni, mancata partecipazione e soccombenza, il giudice può disporre tale sanzione “accessoria”, che si affianca al petitum principale e alle spese legali. Se questo orientamento dovesse diffondersi nei tribunali, l’effetto potrebbe essere quello di scoraggiare il comportamento del “riottoso e indolente” che, finora, ha disertato la mediazione, cioè lo strumento principe della deflazione del contenzioso in Italia.
Le ricadute potenziali sono evidenti soprattutto rispetto ad alcune categorie di soggetti – istituti bancari e finanziari, aziende ospedaliere pubbliche, compagnie assicurative, condomìni – che, nei quindici anni di vita della mediazione civile, hanno spesso evitato perfino il primo incontro. Proprio queste materie obbligatorie (controversie bancarie e assicurative, responsabilità professionale medica, liti condominiali) occupano gli ultimi posti delle statistiche ministeriali sulla partecipazione, con conseguente scarso effetto deflattivo della mediazione, imputabile al comportamento dei soggetti istituzionalmente deputati a ricevere le richieste dei terzi.
A completare il quadro interviene l’ultimo comma dell’articolo 12-bis, che prevede la comunicazione, da parte dei tribunali, all’autorità garante competente – Banca d’Italia per gli istituti bancari, Corte dei Conti per le aziende ospedaliere pubbliche, Ivass per le compagnie assicurative – ai fini dell’ulteriore sanzione ivi contemplata. In questo modo, il sistema delineato dalla Riforma Cartabia mette a disposizione un arsenale di strumenti sanzionatori che perseguono un unico scopo: rendere effettivo e non solo proclamato l’effetto deflattivo della mediazione civile.